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Modest fashion, la moda islamica

La modest fashion, ovvero la moda dedicata al mondo islamico, continua a crescere, diventando un fenomeno mainstream, anche grazie alla spinta dei millenials.

Un modo di approcciarsi al settore della moda certamente particolare, che declina in chiave glamour l’abbigliamento tradizionale, creato nel rispetto dei principi del Corano: velo, braccia e gambe coperte, nessuna scollatura, silhouette non troppo fascianti.

Settimana prossima – tra il 6 e l’8 marzo – si terrà a Dubai la Modest Fashion Week presso Emerald Palace Kempinsky, organizzata da Think Fashion fondata da Franka Soeria and Özlem Şahin. L’avv. Facchinetti invitato – sarà presente.

Come riportato dallo State of the Global Islamic Economy Report 2018/19 (documento realizzato da Thomson Reuters in collaborazione con DinarStandard e il Dubai International Financial Center), nel 2017 la modest fashion ha registrato un giro d’affari di 270 miliardi di dollari americani (circa 237 miliardi di euro). Valore destinato ad aumentare entro il 2023 del 5% annuo, raggiungendo quota 361 miliardi di dollari americani. La moda islamica, in particolare, rappresenta la seconda categoria di spesa dopo il food&beverage (1,3 trilioni di dollari americani) per i musulmani, i quali per i consumi lifestyle spendevano nel 2018 circa 2,1 trilioni di dollari americani.

Per il fashion, gli Stati trainanti a livello di spesa nell’anno 2017 sono stati la Turchia (28 miliardi di dollari americani), Emirati Arabi Uniti (22 miliardi), Indonesia (20 miliardi), Nigeria (18 miliardi), Arabia Saudita (17 miliardi), Russia (13 miliardi), Pakistan (12 miliardi), Iran (12 miliardi) India (12 miliardi) ed Egitto (11 miliardi).

I brand più conosciuti e da tempo affermati hanno proposto negli ultimi anni diverse collezioni dedicate al mondo islamico e ispirate al modest fashion: il tutto a conferma della sua crescita e trend positivo. Un esempio è Dolce&Gabbana, che nel 2016 aveva lanciato la collezione Abaya e che collabora con influencer come Ruba Zai, oppure H&M con la collezione dedicata alla modest fashion chiamata Ltd. Così anche Uniqlo e Mango hanno proposto le loro capsule dedicate. Si guardi in tal senso anche alle collezioni modest fashion lanciate da CH Carolina Herrera, Michael Kors, Massimo Dutti e Max Mara.

Ulteriore testimonianza del fenomeno è l’inaugurazione a Istanbul Zeruj Port del primo mall totalmente dedicato alla moda islamica da parte dell’imprenditrice e star dei social Zehra Özkaymaz (nota su Instagram come Zeruj). Una presentazione sfarzosa tenutasi lo scorso 11 maggio, davanti a una parete traboccante di palloncini e fiori rosa e bianchi.

Si pensi che un totale di 1,8 miliardi di musulmani nel mondo hanno speso, nel solo 2017, una cifra pari a circa 1,85 trilioni di euro in consumi lifestyle (dunque cibo, viaggi, moda, intrattenimento e cosmetica): la moda è stata la seconda voce di spesa dopo il cibo “halal”, che a sua volta ha avuto un giro d’affari di 1,1 trilioni di euro.

La spinta alla modest fashion, del resto, è arrivata in modo deciso dalle giovani generazioni che, pur nel rispetto dei precetti religiosi, non vogliono riununciare a capi colorati e dettagli cool, che personalizzino il look e possano aggiudicarsi molti like su Instagram.

La Rete gioca un ruolo decisivo nella diffusione del fenomeno. In primis sul piano della comunicazione: su Instagram sono più di 1,3 milioni i post con l’hashtag #modestfashion e spopolano influencer del calibro di Dina Torkia (1,4 milioni di follower), Marwa Hassan (1,3 milioni) e Halima (764mila).

Sulla scia di questa crescente popolarità, crescono anche le piattaforme specializzate in modest fashion: dall’e-tailer turco Modanisa, fondato nel 2011, che oggi ha un’offerta di oltre 70mila prodotti e 500 brand (e registra 16milioni di utenti al mese) a Modist, multibrand online fondato a Dubai dall’algerina Ghizlan Guenez, che a settembre ha annunciato un accordo con Farfetch (che a sua volta ha siglato una partnership con Chalhoub group).

Avv. Simone Facchinetti

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